I bombardamenti a Palermo vissuti da Mario Francese in un volume che documenta la città martoriata
Pubblichiamo la bella recensione di Tano Gullo, su Repubblica Palermo dell''1 aprile 2016, relativa al libro di Mario Francese e Mario Genco dal titolo "Quando avevamo la guerra in casa", Mohicani edizioni
Ha scansato nugoli di bombe che cadevano dal cielo nell’inferno di quel Vietnam che era la Palermo del ’43, ed è caduto colpito a tradimento sotto il portone di casa dal piombo mafioso il 26 gennaio del 1979. Ha raccontato due guerre Mario Francese, quella mondiale che solo a Palermo ha causato la morte di tremila persone, e la mattanza delle cosche che ha lasciato una lunga scia di vittime prima e dopo gli articoli del cronista ucciso, “colpevole” agli occhi dei boss corleonesi di essere stato il primo giornalista a svelare la loro scalata nell’holding malavitosa.
guer1Mario Francese, nato a Siracusa nerl 1925, quattordicenne di belle speranze arriva a Palermo, dove vive una zia, per frequentare il liceo. Ma piomba subito nell’incubo della guerra. Ancora in calzoncini corti si ritrova a correre inseguito dalle bombe, tra le macerie della città sgretolata, ad assistere sgomento al dimenarsi dei terrorizzati cittadini, al martirio di bambini innocenti. Quelle immagini segnano per sempre la sua vita. La cronaca della “sua” guerra la racconterà anni dopo in un inserto che “Il Giornale di Sicilia” pubblicò nel 1960 per celebrare i cento anni della sua avventura editoriale. Ora quella ricostruzione diventa un libro - “Quando avevamo la guerra in casa”, Mohicani edizioni, 150 pagine, 12 euro - per iniziativa dell’Associazione siciliana della stampa. Nel volume una ricca documentazione fotografica, e interventi di Riccardo Arena, Franco Nicastro e Mario Genco, che ricostruisce una cronistoria esaustiva del martirio siciliano, presa di mira prima dagli aerei francesi, poi da quelli inglesi e infine dalla fortezze volanti americane.
Riportiamo tre frammenti dei ricordi di Francese che ci restituiscono efficamente il ritratto di quei drammatici frangenti da lui condivisi con migliaia di palermitani disperati: «Vedo ancora sfilare, affacciato come inebetito dal balcone della mia abitazione, al corso Calatafimi, quelle interminabili carovane umane di sfollati che cercavano scampo fuori città. Ricordo le grida che sembravano quasi disumane di madri che invocavano il nome dei loro fiigli di cui non sapevano più nulla. Ricordo lo strazio di quegli esseri che, feriti nel bombardamento, facevano appello a tutte le loro residue forze per sfuggire alla morte che sibilava dietro le loro spalle e gli immensi nuvoloni di di polvere sollevati dalle micidiali bombe sganciate...
E ricordo le estenuanti code nelle panetterie per prelevare, con le “tessere”, la razione quotidiana di pasta e di pane; la difficoltà di procurarsi della carne, il prezzo stratosferico delle uova».
Racconta poi gli intrallazzi del mercato nero, il rintanarsi di nobili e plebei nelle grotte della villa del principe di Villa Tasca dietro corso Calatafimi, le centinaia di ragazze costrette a prostituirsi per procacciarsi il cibo. Ma rieccoci al fuoco incrociato, l’artiglieria impotente contro i raid dal cielo: «Un proiettile, già esploso, mi schizzò alcuni metri avanti. Che cosa era un proiettile di fronte a duemila chili di bombe attorno? Non ebbi paura: correvo scrutando il cielo, dove vedevo tre aerei, uno accanto all’altro, quasi sovrastanti il Palazzo Reale. Dietro altri aerei, poi altri ancora. Chiusi gli occhi: già nell’aria sibilava l’urlo della morte, una dietro l’altra le terribili bombe si avventavano contro la terra. Oh quel tonfo mortale!».
I velivoli sciamano e sul terreno restano 16 morti e 41 feriti.
È il 9 maggio 1943, data fatidica per la martoriata Palermo, colpita ancora una volta a tradimento dalla madre di tutti i bombardamenti mentre la gente si appresta a consumare il misero pranzo: «Erano esattamente le 12,28, la pentola sul gas bolliva e si era appena buttata la pasta, quando si avvertì l’ormai “familiare” sinistro rombo dei bombardieri americani. Squillarono le sirene di allarme. Mi affacciai al balcone che dà su corso Calatafimi per spalancare le finestre ed evitare la rottura di vetri pr lo spostamento d’aria e vedevo una moltitudine, come carovane di sbandati, dirigersi frettolosamente verso Monreale. Gli occhi, andati verso l’alto, si socchiusero inorriditi quando scorsero stormi di cinque aerei, a centinaia, uno dietro l’altro coprire il cielo della bella Palermo.
Venivano dalla parte di Romagnolo, ad ondate.
Volevo rientrare, ma non feci in tempo: il ronzio delle bombe precedette i miei passi, poi cupi boati, mi trovai carponi sul pavimento della stanza come intontito e abbattuto fisicamente da una ineluttabile forza che mi impediva di parlare e quasi di pensare. Nella cucina mia zia si ritrovò con il fornello d’inprovviso spento, per la tempestiva sospensione dell’erogazione del gas. Zia e nipote ci ritrovammo l’una nelle braccia dell’altro».
Il merito di questo libro èche ci racconta una sequela di vicende, tante, che mostrano i mille volti della quotidianità quando i cittadini inermi sono bersaglio incolpevole della furia dei belligeranti.
La percezione è resa più netta dalle 42 fotografie, altrettanti pugni sullo stomaco, che ci fanno vedere le devastazioni di palazzi e monumenti in diversi angoli della città. Le stesse immagini che la tivù ci mostra oggi delle città siriane. La guerra purtroppo continua.