13 maggio 1979
Quando la "la mala" tocca un intoccabile
Sul sequestro e sul rilascio della moglie dell'ex costruttore Giuseppe Quartuccio, sugli otto morti che seguirono alla liberazione di Graziella Mandalà, il colonnello Giuseppe Russo presentò un rapporto alla magistratura, l'ultimo della sua lunga carriera prima di lasciare il comando del nucleo investigativo dei carabinieri (26 ottobre 1976) per venire trasferito alla Legione di Palermo.
Russo presentò il rapporto ma non arrestò Quartuccio. Proprio al contrario di come si comportò il suo successore, il maggiore Antonio Subranni. Quest'ultimo il 23 dicembre dello stesso anno con un suo primo rapporto all'autorità giudiziaria arrestò Giuseppe Quartuccio come mandante degli omicidi di Francesco Renda, Elio Ganci, Schifando, Malfattore Spaduzza, Giaconia, Filippo e Salvatore Ganci. Arresto confermato dal giudice istruttore Marcantonio Motisi, che contestò all'ex costruttore il concorso in sei omicidi: Renda, Elio, Filippo e Salvatore Ganci, Schifaudo e Malfattore. Come si vede, pur essendone indiziato, non ha avuto ufficialmente contestati né gli omicidi Giaconia e Spaduzza, né la scomparsa di Vito Mangione, volatilizzatosi subito dopo il rilascio della Mandalà.
Vediamo come Subranni giunge alla determinazione di arrestare Quartuccio. Il suo rapporto rivela anche nei dettagli le sequenze del più eclatante giallo della malavita organizzata.
E' stato accertato che subito dopo il rapimento della moglie, Giuseppe Quartuccio "bussò" alla porta di un noto boss del triangolo Monreale-Uditore-Borgo Nuovo.
C'è chi in quei giorni consigliò a Quartuccio di rivolgersi al gioielliere di Monreale, Elio Ganci, famoso in certi ambienti per avere avuto un ruolo nella scomparsa del gestore del "bar Massimo" Vincenzo Guercio, rapito sotto la sua abitazione di Corso Calatafimi, il 10 luglio 1971. Il gioielliere, secondo le indicazioni dei carabinieri, era legato al clan di Gerlando Alberti e di Loreto Sordi, il capo della rivolta dell'Ucciardone nel 1957.
Quartuccio avrebbe chiarito le idee a se stesso il 23 luglio 1976, giorno in cui si recò nella gioielleria di via della Repubblica di Monreale.
"La prego – disse a Elio Ganci – mi aiuti a riavere mia moglie che è ammalata". Ganci choccato e turbato dall'inaspettata richiesta rispose confuso: "Ma... che c'entro io? Che ne so di questi fatti?". Dal turbamento di Ganci l'ex costruttore si sarebbe convinto che il gioielliere era proprio uno degli organizzatori del sequestro.
I carabinieri sono riusciti a ricostruire attraverso le dichiarazioni di alcuni protagonisti le fasi misteriose della liberazione della Mandalà.
Testi chiave dell'accusa sono Rachela Finocchio in Rizzo titolare di un esercizio di generi alimentari a Borgo Nuovo, e Francesca Calì ex amante di Vittorio Manno, il meccanico assassinato alla circonvallazione nel '74, e amica di Francesco Renda, Giovanni Orofino e Salvatore Enea, tre dei protagonisti del "giallo-Mandalà".
Francesca Calì, madre di un bambino nato dalla relazione con Manno, abita in una villetta a Partanna Mondello, dove in una stanza al primo piano la Mandalà viene tenuta prigioniera durante gli otto giorni del sequestro.
Erano stati Renda ed Enea ad imporre la presenza della signora Quartuccio alla Calì obbligandola a vivere per quei giorni al piano terra e lasciando disponibili le tre stanzette del primo piano. Si tratta di circostanze confermate da Francesca Calì che sostiene però di non aver mai visto la prigioniera e di aver intuito che Renda, Enea e Orofino avevano il ruolo di coordinatori di tutte le operazioni.
Queste ed altre testimonianze fanno credere ai carabinieri che i carcerieri della Mandalà siano stati nei primi giorni Renda, e successivamente Schifaudo, Malfattore, Spaduzza e Mangione.
Arriviamo così alla ricostruzione delle ultime fasi. E' la era del 29 luglio. Nella villa di Partanna Mondello, oltre alla Calì, si trovano Salvatore Enea al piano terra e, a quanto pare, Malfattore e Schifaudo di guardia al primo piano.
Improvvisamente una persona bussa alla porta. Risponde la Calì. Lo sconosciuto in modo autoritario dice che deve consegnare un messaggio. Poi dice di lasciarlo su uno dei tergicristalli dell'automobile di Enea, parcheggiata davanti alla villa. La Calì, appena lo sconosciuto si allontana, esce fuori per prendere il messaggio. Lo trova però sul muretto della villa, accanto al cancello. E' un pezzo di carta doppia color zucchero, come quella usata nei negozi di generi alimentari.
Aperto il messaggio, la Calì legge: "Mi trovo in mano ad amici. Liberate subito la donna perché sarà meglio per me e per voi". La firma è quella di "Francesco Renda". E non ci sono dubbi che sia la sua: qualcuno sulla carta color zucchero ha incollato la tessera di identità del Renda, quasi un'autenticazione della firma. Ciò che avviene da quel momento nella villa i carabinieri lo apprendono dalle dichiarazioni di Rachela Finocchio, amica di famiglia dei Reina, titolare del negozio di Borgo Nuovo dove – con tutta probabilità – Francesco Renda acquistava i viveri per la Mandalà.
La Finocchio ha raccontato di avere incontrato occasionalmente Vito Mangione, che terribilmente scosso e preoccupato le ha fatto delle confidenze ritenendo in pericolo la sua vita.
Un racconto drammatico, dalla notte del rapimento della Mandalà fino alla notte della sua liberazione.
Secondo questa ricostruzione, la moglie dell'ex costruttore è stata condotta direttamente da San Martino delle Scale nella villa di Partanna Mondello. Quella sera la Calì era stata invitata dagli amici del suo ex amante Manno a non farsi trovare a casa. La Mandalà fu così rinchiusa in una stanza al primo piano mentre i suoi custodi alloggiavano in una stanza attigua.
Il Mangione raccontò alla Finocchio della visita ricevuta la sera del 29 luglio dello sconosciuto e del messaggio.
Un messaggio che turbò profondamente Enea il cui sgomento si accentuò quando – dopo qualche ora – lo sconosciuto ritornò vicino alla villa gridando: "Ma, non vi siete ancora decisi? Lo capite che dovete liberare la donna".
Sembra che lo sconosciuto abbia anche raccomandato che i carcerieri avrebbero dovuto consegnare la prigioniera ad un suo parente; lo avrebbero trovato fermo a piazza Leoni, quasi all'ingresso della Favorita verso le 23,30.
Questa seconda "visita" disorienta i rapitori. Non sanno che fare. Decidono quindi di chiamare a raccolta tutto il clan. Nel giro di poco tempo si svolge una riunione, ma all'appello manca proprio Francesco Renda, il firmatario del messaggio. Si preoccupano e pensano che Renda possa essere caduto prigioniero nelle mani della mafia ed abbia rivelato il nascondiglio della Mandalà e i nomi dei complici.
Il "clan" decide di eseguire i consigli contenuti nel messaggio di Renda. Viene rubata una "128", si invita la Calì ad allontanarsi dalla sua abitazione ma non vengono eseguiti in tutto e per tutto i consigli dello sconosciuto. I carcerieri, infatti, temono di cadere anch'essi in un tranello. Invece di abbandonare l'auto con la Mandalà in piazza Leoni, si fermano in piazza Don Bosco.
Dirà poi Mangione a Rachela Finocchio: "Subito dopo ci riunimmo nella villa di Partanna Mondello. Eravamo preoccupati perché non avevamo più notizie di Francesco Renda. Tutti temevamo per la nostra pelle. Pensammo che della liberazione della Mandalà si fosse interessata la mafia: qualcuno di noi pensò alla mafia di Partanna Mondello. Il capomafia locale chissà forse si era risentito perché non informato di un sequestro che si svolgeva nella sua zona. Alla fine, preoccupatissimi, telefonammo a Monreale a Elio Ganci. Lo informammo di quanto era successo e Ganci ci disse che se il giorno dopo non avessimo saputo nulla su Renda ci saremmo dovuti recare a Monreale per discuterne con lui".
Secondo il racconto di Mangione alla Finocchio il gruppo in effetti la sera dopo, il 30 luglio, andò a Monreale. C'era una gran folla davanti alla gioielleria di via della Repubblica: Elio Ganci da mezz'ora era stato "giustiziato".
Il gruppo, ancor più disorientato, tornò frettolosamente a Palermo. Una volta uccisi Renda e Ganci, dissero in macchina, la mafia poteva ritenersi appagata in quanto loro avevano trattato bene la Mandalà e, obbedendo agli ordini ricevuti, l'avevano rilasciata appena ricevuto il messaggio di Renda. Decisero quindi di separarsi.