Un giorno, rientrando in ufficio dalle ferie, mi si avvicina Lidia e mi dice: «Sai che è successo?». «Immagino di no, sto rientrando oggi. Che è successo?».
«Elena ha dato le dimissioni dall'impiego».
«Si è licenziata?».
«Si, ha già presentato l'istanza di dimissioni».
«E nessuno è riuscita a dissuaderla?».
«Veramente ci abbiamo provato in pochi, ma non siamo riusciti a convincerla».
«Lidia hai la macchina?».
«Sì».
«Bene! Andiamo a prenderla».
Elena è figlia di una delle tante vittime eccellenti di questa città. Da poco aveva perso anche la madre alla quale era legatissima. In un momento di sconforto aveva preso questa decisione, senza capire realmente cosa stesse facendo, perché lo stesse facendo e soprattutto le conseguenze a cui sarebbe andata incontro se lo avesse fatto.
Fortuna volle che fosse in casa. «Ciao Elena, come stai?». «Benino».
«Bella questa casa, è tua?».
«No, è in affitto».
«Ho visto l'auto che hai comprato, bella, in contanti immagino».
«No, la pago a rate».
«La luce la paghi?».
«Certo».
«Mangi ogni tanto?».
«Certo, ma perché mi fai queste domande?».
«Elena, hai trovato un altro lavoro che ti soddisfa di più?».
«No, non ho trovato alcun lavoro».
«Allora come cazzo pensi di campare? Domani tu rientri immediatamente in ufficio, anche se non ti piace, anche se non ti va. E non voglio sentire ragioni. Pensa a quanta gente è disoccupata e pensa soprattutto a tuo padre che come il mio è lassù e ci stanno guardando. Pensi che tuo padre sia contento della scelta che stai facendo? Se oggi hai questo posto lo devi a lui, non dimenticarlo, ti piaccia o no. Sei poi trovi qualcosa di meglio sei libera ti licenziarti, ma adesso, cazzo, no».
«Ma ho già fatto l'istanza».
«L'ho già strappata. A domani allora. Alle otto in punto ti aspetto giù e se non ti vediamo, io e Lidia ti veniamo a prendere con la forza».
Ritornando con l'auto in ufficio Lidia ed io eravamo contenti per averci provato, ma nello stesso tempo un po' preoccupati e perplessi: «E se domani non viene?». Arrivato in ufficio ho chiesto ai colleghi del personale di pazientare un pochino con la pratica di dimissioni di Elena, spiegando loro che quasi sicuramente ci aveva ripensato.
Elena l'indomani fu puntuale. Erano le otto quando la vidi arrivare. Elena, come me, fa parte di quella schiera di "fortunati" (almeno così ci considerano in tanti), che hanno avuto un posto di lavoro presso una pubblica amministrazione in qualità di orfani di vittime della mafia. «Categoria fortunata». Sì, perché per entrare non abbiamo fatto nessun concorso, ma siamo stati assunti attraverso una legge nazionale. C'è da chiedersi allora: quanti hanno fatto un concorso alla Regione? E quei pochi che lo hanno fatto, non si sono rivolti proprio a nessuno? Neanche per un piccolo aiutino?
Lidia, dopo qualche mese, non rientrò più in ufficio e nemmeno a casa.
È andata in cielo: un angelo, forse, l'ha voluta con sé.