In occasione del quattordicesimo anniversario della morte di Giuseppe Francese, riceviamo e pubblichiamo la riflessione di Ornella Matranga, una ragazza che frequenta a Bagheria la “Casa di Giuseppe”, che sta per diventare un centro di informazione antimafia
A Giuseppe Francese...
Rifletto sul valore di una porta, è un'invenzione per ripararsi, per circondare uno spazio che si è deciso di addomesticare, il tuo spazio, quello in cui deciderai chi far entrare e chi tenere fuori. Ci sono tante porte da varcare nella vita,
quella di casa tua quando nasci,
quella di casa tua quando te la chiudi alle spalle per affrontare un'altra vita, la tua.
Ci sono porte di raccordo poi, tutte uguali tra loro, le apri, le chiudi, non saprai mai dire quante sono state. Scuola, lavoro, amici, fidanzato, sono solo porte. Alcune porte, però, possono caricarsi di significato, quelle porte non le dimenticherai mai più. Una porta in particolare mi ha cambiato la vita. Via s. Isidoro Monte n. 42\A, bagheria, secondo piano, sulla porta una targhetta colorata “casa di Giuseppe”, oltre la soglia, in equilibrio, sul termosifone, la foto di un ragazzo, accanto un crocifisso. Sulla foto un ragazzo, meglio, un uomo, guarda un punto fisso, forse il vuoto, forse un soggetto in particolare, forse qualcosa che nessun altro avrà mai potuto vedere, l'indice sullo spigolo delle labbra, quasi a volerle tenere chiuse, per custodire quei pensieri segreti, quei pensieri pesanti. Chissà quali poi...
Io vengo a casa tua
e tu non ci sei più
e adesso è anche casa nostra,
la casa di Giuseppe
è anche casa nostra.
Classe 1992 la mia, “classe di sognatori” mi è stato detto, forse sì, e in mezzo ai sogni adesso ci sei anche tu, con tutta la forza che hai lasciato tra le pareti di questo appartamento, le hai impregnate, così tanto, così a fondo, che si sente, si percepisce.. leggo pezzi di quello che pare fosse un tuo diario.
Com'eri Giuseppe? Ironico forse, sarcastico spesso.. e cosa c'era dietro a queste risate? Dietro a questo modo di reagire alla vita, alla tua, a quella vita in cui prima eri fiero di un padre vivo e poi fiero di un padre morto, ammazzato!
Tu, Giuseppe, (come cita un autore a me caro) suicidato della società!
Di una società che non ha saputo capire, che non ha saputo darti la verità, che non ha saputo placare la tua sete di giustizia,
archiviando
nascondendo
rimandando
esorcizzando tutto con un “Mario Francese era il migliore”.
Non poteva bastarti, non ti è bastato.
Mi aggiro per casa tua, non mi sento un'intrusa, forse saremmo stati amici, forse ci saremmo guardati con uno sguardo complice, forse non ci saremmo mai visti comunque. Ti sto conoscendo vivendo questa casa quotidianamente, immaginandoti in ogni suo angolo e sorridendo alla foto sul termosifone, dietro la porta, quella porta che mi ha cambiato la vita.
Non so cos'è l'onestà, non so cos'è la mafia, non so cos'è il suicidio, non so cos'è la morte, so che qui, tra queste mura, sento il dovere, la responsabilità, la voglia, di amare il mio territorio, di amare il mondo, di essere più attenta a chi mi sta intorno, la sento così tanto, da volerla portare dietro con me quando esco e mi chiudo la tua porta alle spalle, la tua porta, la mia porta.